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Categorie: Salute e Benessere

Protesi anca: il protocollo ‘Fast Track’ dimezza i tempi di recupero

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a cura del dott. Michele Massaro
SALUTE E BENESSERE – Il protocollo Fast Track ha rivoluzionato preparazione e tecnica chirurgica in ambito ortopedico riducendo incredibilmente i tempi di recupero e la degenza dopo un intervento di protesi anca e ginocchio.

Trattandosi di chirurgia mini invasiva, tutto si riduce: tempi di intervento, recupero, incisione, trauma, dolore, gonfiore, perdita ematica (trasfusioni azzerate) durante e dopo l’operazione, disagio operatorio e post-operatorio.

Migliora anche l’organizzazione all’interno del sistema sanitario: l’ospedalizzazione viene dimezzata, si passa dal classico ricovero di 7-8 giorni ad una degenza di soli 3-4 giorni. Il paziente è in grado di camminare a distanza di poche ore dall’intervento: la ripresa della deambulazione autonoma assistita è immediata (il giorno stesso).

Ti abbiamo anticipato abbastanza ma andiamo con ordine.

Protesi anca mini invasiva: quando è il caso di impiantarla

L’articolazione dell’anca, dovendo sostenere il peso della parte superiore del corpo, è soggetta a continue sollecitazioni. E’ una struttura essenziale per assicurare stabilità, mobilità ed equilibrio al corpo. Con l’avanzare dell’età, queste sollecitazioni possono comprometterne la funzionalità.

Il rischio più diffuso è l’artrosi all’anca (coxartrosi), patologia degenerativa che provoca infiammazione, dolore, rigidità, limitazione della mobilità. La testa femorale si altera, la cartilagine (cuscinetto ammortizzante che protegge le ossa dall’attrito) si usura provocando danni irreversibili all’intera articolazione.

Può insorgere, oltretutto, la necrosi dell’anca: si verifica quando il flusso sanguigno che irrora la testa del femore si riduce. Le cellule dell’osso, non ricevendo più il giusto nutrimento, vanno incontro alla morte, alla necrosi e fanno collassare l’articolazione.

La coxartrosi, nei casi peggiori, può causare deformità ed accorciamento della gamba colpita, dolore insostenibile, rigidità, disabilità, atrofia della coscia. La malattia, a questo punto, diventa invalidante privando il paziente dell’autosufficienza e dell’autonomia del movimento.

La condizione peggiore è la coxartrosi bilaterale, che coinvolge entrambe le anche.

Quando la terapia conservativa (farmaci antidolorifici, antinfiammatori, condroprotettori, corticosteroidi, ecc.) non fanno più effetto e l’artrosi dell’anca degenera diventando invalidante, è necessario sostituire l’articolazione con una protesi all’anca in grado di ripristinarne la funzionalità restituendo una buona qualità della vita.

Patologie invalidanti su cui intervenire

In sintesi, è necessario impiantare una protesi anca in caso di:

Osteoartrosi, l’artrosi dell’anca di cui abbiamo appena accennato, che può essere dovuta a degenerazione dovuta all’avanzare dell’età, sovrappeso, obesità, sedentarietà, sforzi ripetuti, cattive posture oppure ad eventi post-traumatici (lesioni, fratture, lussazioni);

Conflitto femoro-acetabolarequando testa del femore, acetabolo o entrambi presentano dimensioni anomale che compromettono la funzionalità articolare;

Artrite reumatoide, malattia reumatica di tipo infiammatorio;

Necrosi avascolare, che insorge quando l’afflusso del sangue alla testa del femore si riduce provocando la morte delle cellule ossee.

Come è fatta la protesi d’anca mini invasiva

L’anca congiunge i femori delle gambe con il bacino pelvico. La testa femorale si inserisce nell’acetabolo (o cotile), una cavità a forma di coppa. Il tutto è rivestito da robusti legamenti che servono a stabilizzare l’anca.

La protesi anca è progettata per sostituire a livello funzionale questa struttura articolare: viene impiantata chirurgicamente attraverso un delicato intervento.

Durante l’intervento di chirurgia mini invasiva, cartilagine e osso danneggiati vengono rimossi con estrema cura e sostituiti con una protesi realizzata con materiali evoluti e biocompatibili (titanio, ceramica, polietilene). Si tratta di una protesi ad ancoraggio biologico più piccola rispetto a quella utilizzata dalla chirurgia convenzionale: più piccola e, allo stesso tempo, più resistente.

Protesi anca: l’intervento che rispetta il corpo

Perché la chirurgia per l’impianto della protesi anca mini invasiva è la migliore (anzi, l’unica) soluzione definitiva per l’artrosi anca invalidante?

La tecnica chirurgica meno invasiva dimostra un profondo rispetto del corpo umano.

Si preservano il più possibile la parte o le parti (muscoli, massa ossea, tessuti molli) sane, non compromesse dalla coxartrosi. L’obiettivo è risparmiare gran parte del collo femorale, nervi, vari, strutture periarticolari. Cartilagine, muscoli, massa ossea non vengono sezionati ma divaricati con un margine di incisione di soli 8 cm. Tutto questo per assicurare una guarigione più rapida e scongiurare rischi di lussazione.

I vantaggi della chirurgia mini invasiva

L’intervento dura da 40 a 60 minuti a seconda del singolo caso e presenta vantaggi importanti rispetto alla metodica tradizionale:

Perdite ematiche e trauma ridotti;

Riduzione nella somministrazione di antidolorifici dopo l’operazione;

Recupero funzionale decisamente più rapido;

Riduzione degli attriti fra gli elementi della testa femorale e dell’acetabolo in ceramica;

Minore incisione e, di conseguenza, cicatrici meno evidenti;

Minori rischi di lussazione ed infezioni.

Nel 95% dei casi, l’intervento ha successo: i pazienti potranno recuperare una vita normale e riprendere a praticare determinati sport (non tutti).

La protesi anca mini invasiva dura, mediamente, 20-25 anni, ma potrebbe durare anche oltre 30 anni.

Protesi anca: tempi di recupero post-operatorio e riabilitazione

Cosa succede subito dopo l’intervento?

Nelle prime ore successive all’operazione (al massimo, il giorno seguente), l’articolazione viene mobilizzata (attivamente o passivamente) per riattivare subito la muscolatura e ridurre il dolore.

I tempi di degenza e riabilitazione sono dimezzati grazie al protocollo Fast Track.

In genere, i tempi di ospedalizzazione si riducono a 3 giorni: a questi si aggiungono altri 7-10 giorni per la riabilitazione. In questa fase, la Fisioterapia è determinante per il corretto e completo recupero della funzionalità articolare.

Nel complesso, il paziente riprende le normali attività quotidiane dopo 2-4 settimane.

Protesi d’anca: la tecnica di ‘navigazione’ Femur First

I chirurghi ortopedici esperti di tecnica mini invasiva si affidano al metodo Femur First.

In inglese, ‘femur first’ si traduce in “il femore, innanzitutto”: prima si lavora sul femore, poi sull’acetabolo per preparare un intervento più mirato allo scopo di ridurre il più possibile il rischio di usura e lussazione.

E’ una tecnica di ‘navigazione’ che permette di lavorare con la massima precisione ed accuratezza per l’orientamento delle componenti protesiche. La ‘precisione’ è riferita all’angolo di lavoro (tra porzione femorale e acetabolare) al fine di rendere la protesi anca più anatomica.

In tal modo, lo specialista può calcolare con maggior precisione la lunghezza finale dell’arto.

I vantaggi della tecnica Femur First sono due:

Riduce ulteriormente le dimensioni della protesi;

In termini di lunghezza, le due gambe risulteranno praticamente identiche.

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