Gioco pubblico, l’industria che da sola paga Quota100 e reddito di cittadinanza

MACERATA – In Italia, quando si fa riferimento all’azzardo, e al gioco pubblico in generale, si fa riferimento ad una industria fondamentale e portante, capace di produrre un gettito diretto di circa sette miliardi di euro lordi.

Traducendolo alla realtà, significa che solo il gioco, in Italia, per l’anno 2018, è bastato al finanziamento di due importantissime riforme del precedente Esecutivo gialloverde, ovverosia Quota 100 e Reddito di Cittadinanza, i due capisaldi di Lega e Movimento Cinque Stelle.

Pensiero ribadito e ratificato ancora una volta dalla CGIA Mestre,  i n una nota a seguito del convegno milanese “Occupazione, fiscalità, territorio: quale futuro”. Nel convegno si è parlato di tutto, soprattutto di politica, laddove esistono proprio in campo politico problematiche relative al gioco. Problematiche che si traducono in azioni di contrasto, declinate da un lato dagli Enti Locali, dall’altro dai distanziometri e dalle fasce orarie, che per la maggioranza, come evidenzia uno studio sul rapporto utente-slot machine, sono parametri dannosi ed in moltissimi casi inefficaci. Ma non solo: si è anche parlato di gettito erariale, di crisi del settore, di perdita dell’occupazione. E di gioco illegale, ovviamente, un affare che in tutto il territorio nazionale vale circa 20 miliardi di euro e che, dinanzi ai provvedimenti contro il gioco, non ultimo l’aumento del PREU dal febbraio 2020, il terzo in un anno, è destinato a crescere. Nel convegno però hanno preso parola non solo gli operatori del settore gioco ma anche altri personaggi, tra cui Claudio Brachino, numero uno di Mediaset, che ha parlato positivamente dell’industria del gioco come di un settore che “crea occupazione e versa tasse. Quando si usa la parola gioco si parla di moralismo, ma moralismo non è morale, vediamo lo Stato che reprime e poi incassa. Non è quindi un argomento da prendere alla leggera, va approfondito" – ha detto.

Invece Andrea Vavolo, ricercatore della CGIA Mestre, ha citato una ricerca dello scorso luglio, che ha certificato la regolarità dell’industria del gioco in Italia. Industria, si intende, legale e abile nel creare occupazione. In base ai dati citati da Vavolo, con riferimento alla sopracitata ricerca, emerge per esempio che il settore AWP-VLT da solo ha al suo interno 56.000 addetti ai lavori, per un totale che per lo Stato vale sei miliardi di euro. A cui va aggiunto un ulteriore miliardo di gettito indiretto: “Vale il 60% del settore dei giochi – rispetto al 30% del 2016 – un volume che sarebbe pari al costo del reddito di cittadinanza e di Quota 100" – ha chiarito.

Lo stesso Vavolo ha poi lanciato il suo j’accuse contro il proibizionismo, particolarmente prolifero negli ultimi anni grazie anche a quelle delibere che hanno ridotto al lumicino gli spazi per il settore. Tanto che oggi, la lista dei luoghi sensibili, o presunti tali, è sensibilmente cresciuta e secondo non si sa quale logica oggi luoghi sensibili sono anche i cimiteri. Le stesse politiche, secondo Vavolo, hanno ridotto il gettito di 425 milioni di euro, mettendo a rischio ben 10.000 posti di lavoro in regioni come il Piemonte, governata da una legge regionale anti-gioco che, estesa, potrebbe creare un effetto domino senza precedenti. Ma non solo: in Abruzzo, regione regolamentata da una legge anti-gioco dal 2013, tre consiglieri del PD hanno proposto, in consiglio regionale, una legge in materia di gioco, che va ad approfondire quella già esistente, contro il GAP. Monitoraggio, prevenzione e cura dei soggetti a rischio, in una situazione che vede l’Abruzzo essere la prima regione italiana per gioco d’azzardo, con una spesa pro-capite l’anno di 2.035 euro.

Ha preso la parola anche Matteo Copia, Ufficiale di Polizia Locale che ha rivolto il suo appello agli esercenti: “Devono conoscere benissimo una normativa che, sul gioco, è in continua evoluzione”. Parlando di regolamenti comunali, si è infine auspicato che questi siano meno punitivi rispetto al solito. Ha chiuso il tutto Sarah Viola, psicoterapeuta, che ha parlato molto di proibizionismo, a suo dire un moltiplicatore della dipendenza: “A livello medico, chi ha una dipendenza di solito non vuole guarire, a differenza di tutti gli altri tipi di pazienti. Inoltre, la proibizione non frena la dipendenza, ma la moltiplica, rende più forte il ‘craving’, il richiamo dell’oggetto desiderato. Il modo giusto per intervenire è far capire che il ludopata ha un problema, che il dipendente da gioco non può giocare come gli altri, non lo fa in modo normale. Quindi si può ridurre la dipendenza e il gioco, ma non si può eliminare del tutto. Il percorso ideale è che il giocatore stesso diventi una risorsa: aiutato a svolgere un percorso di terapia e di cambiamento, può aiutare gli altri giocatori a rischio all’interno delle sale. Il gioco diventa malattia quando interferisce con la vita quotidiana, quando viene prima di tutto, prima del lavoro, della famiglia”.

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